Il Segretario Generale

 

 Davide Rossi è docente, storico e giornalista, è direttore del Centro Studi “Anna Seghers” di Milano e dell’ISPEC, Istituto di Storia e Filosofia del Pensiero Contemporaneo della Svizzera Italiana. A Kinshasa - Repubblica Democratica del Congo è vicedirettore dell’Institut International de Formation et Recherche “Patrice Lumumba”. Autore di svariati saggi dedicati alla storia, alla letteratura, alla cultura e al cinema dei paesi socialisti, ai popoli del Sud del mondo e al movimento internazionale dei lavoratori, è segretario generale del SISA - Sindacato Indipendente Scuola e Ambiente, dal 2021 coordinatore nazionale del “Centro di Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani”. Corrispondente per Sinistra.ch, è direttore di Slatan Dudow Pensieri di Cinema e dalla fondazione nel 2000 del mensile culturale aurorarivista. È membro del direttivo della sezione ANPI di Camagna M. e del comitato di gestione del Museo della Resistenza del Monferrato.

 

 

 

 

 

Per Eluana Englaro

 

Il segretario generale del SISA, Davide Rossi, nella sua qualità di direttore di aurorarivista.it è tra gli autori dell’intervento della redazione in merito alla vicenda di Eluana Englaro. Il testo può essere letto su www.aurorarivista.it

 

8 febbraio ’09

il coordinamento

 

 

Riportiamo di seguito l'intervento di Davide Rossi alla prima assemblea ordinaria del SISA, il primo maggio 2008:

 

Con lo sguardo verso il domani

 

Carissime amiche e amici,
mi è chiesto l’importante compito di aprire questa nostra prima assemblea e quindi di offrire un quadro articolato non solo sulla nostra realtà come SISA, ma anche di analisi rispetto alla scuola e all’università in Italia e in Europa. 
Intanto una riflessione su noi, fra tre giorni compiremo sette mesi. Un tempo brevissimo, eppure densissimo di lavoro, di scelte, di impegno, di cambiamenti intorno a noi. 
Sette mesi nei quali siamo stati capaci di elaborare con una certa chiarezza le linee del nostro lavoro, produrre molti documenti, incontrare energie e intelligenze, che in molti casi hanno deciso di impegnarsi per la prima volta in un sindacato, con noi e dentro il SISA. Senza alcun appoggio, di nessun tipo, siamo riusciti ad avviare una nostra presenza in Italia e a trovare persone validissime che si sono offerte di essere portatori e portatrici dei nostri pensieri, delle nostre idee e dei nostri sentimenti in Europa, a partire da Berlino a Parigi, arricchendoli con la loro esperienza, la loro umanità, il loro entusiasmo. A tutte, a tutti, in particolare ai più giovani tra noi, a partire da Laura Canella, nostra nuova e giovanissima coordinatrice studentesca, nonché ad Emilio Sabatino, nostro segretario nazionale, agli amici del SISA svizzero, a partire dai coordinatori e da Massimiliano Ay, un grazie, grande, sincero, sentito, commosso.
Abbiamo solo sette mesi, ma possiamo a ragione dire che gli avvenimenti dimostrano come la nostra esistenza abbia un senso e un significato. Il SISA occupa uno spazio di aggregazione che mancava. Per la prima volta studenti e docenti, cittadini democratici, sono insieme e alla pari dentro un’organizzazione sindacale della scuola e dell’università. Per la prima volta un sindacato italiano e al contempo europeo ha non solo una vocazione continentale, ma ha compiuto una chiara, netta, ineludibile scelta di ragionare, riflettere, operare come soggetto europeo, senza rinunciare alla solidarietà e alla riflessione internazionale, alla critica del rapporto diseguale e del tutto asimmetrico tra nord e sud del mondo, alla denuncia del dramma ambientale, al rispetto delle minoranze linguistiche e culturali. Non a caso, nel corso dell’anno scolastico e accademico che ci attende, tanti sono già i momenti di mobilitazione che abbiamo messo in calendario.
È evidente in Italia che un quindicennio di riforme “a peggiorare” del sistema formativo, e scolastico in particolare, insieme al diritto d’assemblea sequestrato a loro esclusiva dai sindacati confederali con Snals e Gilda, il disincanto e il disinteresse dei colleghi e dei lavoratori della scuola, rendono tutto in salita il percorso di crescita del numero degli iscritti, ma questi fatti devono solo raddoppiare il nostro impegno e aiutarci a riflettere positivamente sulla scelta di aver creato un sindacato aperto a studenti e cittadini che si riconoscono in un progetto collettivo.
Il problema della libertà d’assemblea per tutte le organizzazioni sindacali resta comunque un tema centrale che viola la Costituzione e di fatto agisce contro tutti gli altri sindacati, compreso il nostro.
Il compito del SISA, come spesso mi ricorda l’amico Giancarlo Pizzi, responsabile di Parigi, è quello di arrivare all’elaborazione di una nuova cultura sindacale che sia capace di confrontarsi con l’epoca nella quale viviamo, che sia capace di analizzare e al contempo di agire dentro un quadro che esula e supera la contrattazione come sino ad oggi l’abbiamo conosciuta.
Certamente il SISA è un luogo aperto di riflessione sulla scuola, sull’università, sulla cultura, un soggetto che vuole aggregare per partecipare, per essere presente là dove una voce di giustizia e libertà, la nostra, vuole aggiungersi alle altre con tutta la sua specificità.
Credo che il percorso di crescita, salvo avvenimenti che non possiamo preventivamente pronosticare ma solo auspicare, sarà al contempo costante ma non impetuoso. Sappiamo bene tuttavia che solo passo dopo passo, solo quando ogni passo è ragionato, si ha la possibilità di arrivare lontano. 
La situazione della scuola e dell’università è oggi difficile in Europa e in Italia.
Intanto le normative europee sulla commercializzazione dei servizi degradano i saperi a merci, impongono quote di lavoratori precari, riducono le conoscenze, i saperi umanistici, scientifici e critici sono ridotti a elementi da trasmettere strumentalmente in funzione del mercato del lavoro. 
Noi ci battiamo perché scuola e università siano considerate pubbliche, ovvero liberate da qualunque forma di potere, restituite ai soli valori che devono conformarle e che mai ci stancheremo di ripetere: la libertà d’insegnamento dei docenti e la libertà di apprendimento degli studenti.
In Italia da qualche settimana la realtà si è fatta decisamente più preoccupante. L’aggressione al sindacati da parte di Confindustria, nonché lo sproloquio sulla criminalità sindacale del senatore Cossiga, devono indurci a ricordare che l’azione sindacale è sancita dalla Costituzione e che anzi la magistratura italiana ancora nel 2007 si è espressa con sentenze che tutelano l’attività sindacale nelle scuole, punendo ogni comportamento antisindacale dei dirigenti e dell’amministrazione. Auguriamoci e impegniamoci perché queste tutele restino difese e accresciute, non già ridotte.
Ci preoccupano ragionamenti intorno all’eccellenza e al merito, poiché, se privi di qualunque progetto concreto e condiviso, rischiano di diventare una fonte di arbitrarietà. Da un decennio ormai quanti oggi fanno parte del SISA hanno elaborato progetti e percorsi seri e fattibili per un percorso di autovalutazione d’istituto, nel quale i docenti possano confrontarsi e trarre le conclusioni del loro lavoro, mettendo oggettivamente i colleghi nella condizione di riflettere e riprogettare. Ribadiamo l’importanza di partire dalla centralità della libertà di insegnamento dei docenti, inviolabile, quanto la libertà di apprendimento degli studenti, di cui sempre meno e sempre più difficilmente si riesce a parlare. 
In questo quadro il ruolo dei genitori deve uscire da una ambigua e a volte pericolosa china che vede quelle parti più retrive del mondo genitoriale intromettersi nella didattica per colpire la libertà d’insegnamento, per altro difesa da una recente sentenza della Cassazione. Il problema è che i docenti non dovrebbero difendersi attraverso vie legali, bensì essere tutelati in anticipo dall’amministrazione. La collaborazione con i genitori, almeno alle elementari, potrebbe invece essere valorizzata dentro un quadro di rinnovato ascolto, anche attraverso il superamento degli attuali organi collegiali e dovrebbe portare ad una più ampia possibilità di dialogo, di confronto che esalti i ruoli, riconoscendo il reciproco valore e rispettandone ambiti e funzioni.
Preoccupa ascoltare di nuovi consigli d’istituto con amministratori locali e imprenditori/finanziatori, così come progetti di valutazione e di monitoraggio delle scuole. Ribadiamo, oggi come sempre, la totale impossibilità di valutare i docenti attraverso i livelli dei loro alunni. Le conoscenze morfologiche e sintattiche di una classe a prevalenza di ragazzi stranieri della periferia del comune di Milano non potrà mai essere paragonata a quella di una classe a prevalenza italiana del centro della città e livelli e percorsi d’apprendimento prescindono evidentemente dai docenti. Essere docenti significa trasmettere interesse per il sapere e conoscenze utili per tutta la vita, ricercare, come spesso si paventa, criteri omologanti, da Trieste e Trapani, è del tutto sbagliato e fuori luogo.
Così come da condannare la crescente moda anglosassone, nelle scuole ma anche nelle università, di verifiche a quiz, che negano l’articolazione del pensiero e la comprensione di un apprendimento profondo e non superficiale. 
In questo senso l’autonomia scolastica dovrebbe esaltare la libertà, fatto che a tutt’oggi non è successo, ugualmente la quantificazione temporale dei calendari scolastici rappresenta un metodo che insieme ai programmi nazionali mortifica la libertà, penalizza o uccide la costruzione dei saperi, facendo prevalere nelle scuole la mera trasmissione di conoscenze, mentre la creatività svincolata, quella che porta docenti e studenti ad esempio a creare blog di classe tra il narrativo e il letterario, vincono il muro studentesco della comprensibile indifferenza e passività di fronte a un metodo scolastico che generalmente ne marginalizza l’intelligenza e l’entusiasmo.
Proprio a partire dalla valorizzazione della professionalità dei docenti bisognerebbe riflettere su quale senso abbia finanziare da parte del ministero con milioni di euro ad esempio il progetto per rendere “abili” all’insegnamento delle lingue straniere i docenti delle elementari con l’obiettivo di eliminare e rimandare in classe quei colleghi che da anni operano per tutta la scuola come docenti di lingua straniera, dopo un percorso di autoformazione ed esaltazione di una professionalità che invece ne uscirebbe mortificata.
Mentre dopo quasi trenta anni di politiche scolastiche dissennate il nuovo primo ministro inglese Brown si pone il problema di restituire alla scuola capacità di dialogo con gli studenti e promozione di attività creative come teatro, cinema, incontro con gli scrittori, in Italia sembra che la restaurazione berlusconiana porti con sé la prosecuzione di un asservimento del mondo formativo alle imprese, anche oltre il consiglio di istituto. Ci preoccupa l’intenzione di trovare formule per “indirizzare” gli studenti delle superiori, i quali dovrebbero invece essere informati, nel mondo più ampio e completo delle possibilità e delle difficoltà a cui si troveranno di fronte dopo la maturità. Per altro si palesa un nuovo attacco ideologico ai programmi, strattonati come il solito politicamente, con la benedizione degli editori scolastici che predispongono libri di testo sempre nuovi, più pesanti e meno letti. Nelle scuole medie e superiori è costantemente violato il limite del 10/15% del peso degli zaini rispetto a quello corporeo degli studenti.
Sulla questione del precariato ribadiamo l’intenzione di arrivare all’assunzione di tutti i precari formando anche un organico di scuola maggiorato per garantire le supplenze lunghe e gli anni sabbatici che devono diventare pagati come in altre nazioni europee. L’accesso a mostre e musei e l’assegno mensile per l’acquisto dei libri devono rappresentare una richiesta immediata del SISA al nuovo ministro e in qualche modo una prima forma di recupero, per quanto indiretta, dei salari, in Italia tra i più bassi del continente e oramai ai limiti della sopravvivenza per i docenti e lavoratori della scuola delle regioni settentrionali. 
È nostro compito tuttavia promuovere tra i colleghi la più chiara consapevolezza che le normative europee, a partire dall’Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (AGCS - GATS), stanno pesantemente attaccando la scuola. Esse chiedono la riduzione della scuola e dell’università ad una voce dei servizi a pagamento, commercializzate e privatizzate. Per altro sempre le norme europee auspicano un quota minima del 20% di precari tra i lavoratori del settore. Compito del SISA è quindi quello di informare in Italia, Belgio, Francia, Germania, le nazioni in cui al momento siamo presenti, cittadini, studenti e lavoratori della scuola, della gravità della situazione e dei pericoli di peggioramento che incombano sui sistemi formativi nazionali, sempre più omologati a livello europeo.
Come SISA abbiamo aperto un dialogo a tutto campo con le colleghe e i colleghi precari, a partire dalla nostra proposta di legge scritta nel dicembre 2007 che si proponeva e si propone di superare tanto i concorsi ordinari quanto le scuole di specializzazione attraverso un percorso universitario abilitante. Riteniamo che sia fondamentale far percepire ai colleghi che la battaglia è complessiva e riguarda tutti, docenti di ruolo, studenti e precari storici, sissini, non abilitati.
La battaglia per i diritti dei precari è una battaglia che riguarda tutta la scuola e tutti coloro che ne hanno a cuore il futuro, divisioni e contrapposizioni per gruppi agirebbero evidentemente a vantaggio di chi vuole che la scuola ne esca sconfitta. Noi in questi termini la condurremo, con la convinzione che si debba respingere la guerra tra poveri, alimentata da interessi particolaristici che penalizzano per primi coloro che li propongono o li difendono. Riteniamo che sul tema dei precari non abilitati si debba prestare particolare attenzione, perché è oggi più che mai una parte importante di colleghi in servizio, persone che hanno acquisto competenze e capacità e che rischiano, senza le necessarie tutele, di essere travolte per prime da una logica “risparmista” e di tagli degli organici.
Salutiamo con soddisfazione la sentenza del TAR della Calabria 9.11.07 che ha sancito, in forma inderogabile, il diritto dei ragazzi ad autogestire o occupare le scuole. Le ritorsioni messe in atto nello specifico dal dirigente scolastico e da alcuni insegnanti sono state condannate. È la conferma che i ragazzi che occupano o autogestiscono, nel momento in cui si assumono la responsabilità dell’edificio scolastico, agiscono nel solco di un impegno civile che pone alla collettività problemi e preoccupazioni da loro percepite come importanti, rappresentano un esempio felice di senso di responsabilità e di educazione ad una cittadinanza attiva e solidale.
Alle ragazze e ai ragazzi del SISA confermiamo quanto sempre espresso in questi mesi, riconosciamo loro la massima autonomia e indipendenza, la creatività, l’intelligenza, lo spirito di lotta che appartiene loro più che a noi tutti ci è di stimolo e di esempio.
Manifestiamo sin da subito la totale contrarietà alla crescente simpatia che negli ambienti più retrivi sta maturando la separazione di ragazze e ragazzi nelle classi, sappiamo bene che questa misura, antieducativa e oscurantista, sarebbe il primo passo verso un atteggiamento moltiplicatore di esclusione, che procederebbe in seguito verso gli stranieri, verso i diversamente abili. La ricchezza della scuola è nella sua pluralità, nell’incontro. Ogni forma più o meno ragionata di esclusione è contraria alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e alla storia della scuola italiana da sempre nel solco della Costituzione.
Sul tema degli insegnanti di sostegno crediamo che l’impegno debba essere vigorosamente ripreso, il pericolo di tagli che negherebbero il diritto all’integrazione è quanto mai all’orizzonte, a noi anche il dovere di contrastarlo, rilanciando ad esempio la creazione di una specifica classe di concorso.
L’altalena tra tagli dell’organico e nuove immissioni a tempo indeterminato penalizzerà in ogni caso la scuola. Si parla molto dei piccoli comuni, senza ricordare che nelle altre nazioni europee le piccole scuole restano aperte con un contributo determinante da parte delle amministrazioni locali, da noi potrebbero essere le regioni, che invece di sbandierare pretese capziose sul sistema formativo dovrebbero, come appunto all’estero, farsi carico del 50% delle spese totali, stipendi compresi, delle scuole di montagna o dei piccoli centri e delle isole. Chiudere una scuola è un fatto grave, per la comunità che ne viene privata e per l’intera società italiana, occorre quindi provare come SISA ad aprire un dibattito su questo non secondario problema del sistema formativo italiano.
Un’ulteriore conferma del malessere di una scuola in difficoltà viene dal crescente numero di compiti assegnati ai ragazzi, compiti che non vengono né capiti, né eseguiti, occorrerebbe ricordare che la mai abolita circolare 177 del 15.5.69 stabilisce che: ”non devono essere assegnati compiti scolastici da svolgere o preparare a casa per il giorno successivo a quello festivo”. Nella scuola invece succede tutt’altro, il muro, che noi da sempre vogliamo abbattere, tra docenti e studenti, viene rafforzato e cementificato dall’uso di compiti, interrogazioni, compiti in classe, verifiche, come strumenti di contrapposizione, di ricatto, di minaccia. I saperi che dovrebbero essere costruiti nella collaborazione tra docenti e studenti sono invece mortificati e ridotti ad arma punitiva nelle mani dei docenti e rifiutati dagli studenti che con una resistenza passiva, che danneggia purtroppo, per quanto inconsapevolmente, loro stessi per primi.
Se mio dovere era ed è riflettere sullo stato della scuola italiana, qualche parola andrebbe spesa pure per il sistema universitario; la situazione meriterebbe un’analisi lunga e articolata, che potremmo iniziare questa mattina, credo comunque alcune considerazioni debbano essere condotte. La frantumazione dei percorsi, l’iper – specializzazione, soprattutto in ambito umanistico, i diktat dettati dal processo di Bologna, il costante ridursi dei fondi per la ricerca, non solo in ambito scientifico ma anche umanistico, l’assoggettamento della ricerca stessa ad interessi privati, tutto concorre a delineare un quadro allarmante, nel quale il SISA è chiamato ad essere presente, porre domande, cercare risposte.
L’intromissione privata è una scelta a nostro giudizio pericolosa, nell’università come nella scuola, nella quale il moltiplicarsi di sponsorizzazioni commerciali, in pericoloso aumento con responsabili di questo settore che inneggiano, come Francesco Moneta a: “eventi, contenuti e immagini che rimangono scolpiti nella memoria infantile”, trasformano o almeno tendono a trasformare gli studenti in passivi acquirenti e consumatori di domani.
Sul fronte universitario è importante il legame che stiamo costruendo con il sindacato Si Può, guidato da Grazia Morra. Nel quadro delle battaglie europee come avete visto dal nostro ampio ordine del giorno, molti sono i passi concreti che stiamo intraprendendo, vale la pena sottolineare la grande e se volte sino a qualche tempo fa inaspettata sintonia con il settore educazione della CNT francese. 
I problemi che ho sollevato in questa mia relazione sono anche della scuola e dell’università europee, ciascuna con le sue specificità.
Credo che non solo l’anno scolastico e accademico che si sta chiudendo, ma pure il prossimo, saranno impegnativi e densi di lotte e di rivendicazioni, come SISA siamo chiamati a essere presenti.
Il nostro compito è di essere lì, contribuire all’analisi, allo sviluppo delle contraddizioni verso una soluzione possibile, verso una presa di coscienza della società civile che sembra purtroppo sempre più indifferente, nella sua maggioranza, ai temi dell’educazione. 
Noi, nel solco della scuola di Barbiana e di don Milani, ne sappiamo invece tutta l’importanza e la centralità, perché contro la barbarie dei sentimenti di egoismo, di razzismo, di xenofobia, vinca e prevalga la costruzione di un futuro fondato sul rispetto dei diritti dell’uomo, la civiltà, la tolleranza, un futuro in cui ciascun uomo, come diceva Salvador Allende, si senta fratello di chi gli sta accanto.
Buon primo maggio e grazie a tutte e tutti coloro che sono presenti a questa nostra prima assemblea, che possa questo giorno rinnovare in noi l’impegno e la determinazione per potare, sotto le bandiere del SISA, il nostro contributo per un mondo migliore, a partire dalla scuola e dall’università. 

Milano, primo maggio 2008

 

 

Intervento per www.megachip.info

Per una scuola capace di futuro

 

di Davide Rossi

(4 ottobre 2008)

 

Un cittadino italiano, non solo un lavoratore della scuola, uno studente o un genitore, ha facilità a comprendere che è difficile parlare per la scuola di novità e cambiamenti, prima ancora che di riforme, se le novità coincidono con un taglio di 8 miliardi (non milioni!) di euro del bilancio dell’istruzione e una sforbiciata di almeno 140mila posti tra docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario, con la ricaduta immediata di avere classi da oltre 30 alunni e decretando la morte delle scuole dei piccoli comuni. Per altro lo stesso governo ha fatto una doppia ammissione che lo discredita da solo, la prima è l’ammissione del livello miserevole degli stipendi dei lavoratori del settore, la seconda ammette che il 97% del bilancio dell’istruzione è destinato ai salari. La conseguenza logica, anche per il più sprovveduto tra gli amministratori, sarebbe quella di aumentare il bilancio della scuola, qualificarne le retribuzioni e quindi, solo dopo, avviare un progetto di riorganizzazione del sistema, che altrimenti, è evidente, risulterebbe una mera operazione di cassa.

Tuttavia la situazione è forse più grave, perché dietro la logica “risparmista” mossa contro la scuola, mentre ad esempio in campo militare il governo Berlusconi spende e acquista nuova tecnologia di guerra a prezzi superiori ai tagli promessi dall’avvocatessa Gelmini, si paventa un attacco complessivo, oserei dire sistemico, alla scuola pubblica sancita dalla Costituzione Italiana.

È evidente che la logica del ministro dell’Istruzione è quella di dequalificare, per gradi ma con scientifica meticolosità, la scuola pubblica, favorendo nei fatti le scuole private. Il tempo pieno alle elementari verrà sì garantito dal maestro unico, ma affiancato da giovani volontari del tutto inesperti e sottopagati per le 16 ore rimanenti da “riempire” alla meno peggio. Per altro la reinvenzione della “maestra mamma” è in totale antitesi con la maturazione professionale dei docenti elementari impegnati da anni in ambiti disciplinari specifici, un percorso intrapreso da venti anni contro la logica del docente “tuttologo” decisamente superata.

Facile allora prevedere che nelle grandi città chi potrà permetterselo cercherà di mandare i figli in scuole, ovviamente private, in cui il tempo pieno non sia garantito dai volontari, ma da due insegnanti come ancora avviene per il momento in tutta la penisola, altri indirizzeranno i figli nella scuola media o superiore, ancora una volta privata, in cui le classi non siano composte da una trentina di ragazzi ammassati, ma in cui una ventina di ragazzi possano avere modo di essere meglio seguiti, magari ritrovando lo spazio e i tempi per la relazione educativa.

In poche parole il governo vuole equiparare le scuole pubbliche e quelle private, diminuendo i fondi per le prime e aumentando, contro la Costituzione, i fondi per le seconde, permettendo tuttavia alle seconde di non essere vittime dei nuovi modelli organizzativi penalizzanti. Direbbe don Milani che è un modo neppure tanto subdolo di “fare parti uguali tra diseguali”, accrescendo la disuguaglianza e inventando d’ufficio scuole di serie A e di serie B. 

Ugualmente i piccoli comuni, la maggior parte degli ottomila della Repubblica Italiana, rischiano di vedere chiuse le scuole pubbliche e al massimo assistere all’apertura di scuole - negli stessi edifici chiusi d’ufficio dal ministro Gelmini - di natura confessionale o confindustriale. Per i piccoli comuni, spesso con cinque classi per 50 alunni alle elementari e tre classi per 30 alunni alle medie, da anni avanzo la proposta del modello francese. Queste scuole, fondamentali per il tessuto sociale delle piccole città, siano tenute aperte con un contributo al 50% delle spese totali, stipendi compresi, da parte delle regioni e delle amministrazioni locali. Le regioni, che hanno gravi e grandi responsabilità, vorrebbero mettere mano ai programmi, al nord ad esempio per “padanizzarli” o sull’istruzione professionale, con il proposito di mettersi in combutta con i più vari e più o meno seri imprenditori per “guadagnarci”. Questo stile spesso piratesco delle regioni è molto poco europeo e nulla ha con un coinvolgimento serio, come sarebbe ad esempio la garanzia di un sostegno economico alle scuole elementari e medie dei piccoli centri.

I progetti del governo, di cui il ministro Gelmini è un semplice terminale operativo, sono quindi di portata devastante, con il chiaro obiettivo di non rispettare le indicazioni provenienti da tutte le organizzazioni internazionali preposte alla promozione della scolarità e dei saperi.

Ai cittadini tutti si pone allora il problema di come rispondere, come difendersi, come risultare propositivi, anche perché sempre più e a ragione la società italiana chiede idee alternative, non semplici no.

In questo senso i movimenti di lotta, le occupazioni, gli scioperi, le manifestazioni, oramai quasi giornaliere, hanno un valore non solo di contestazione, ma anche fortemente propositivo, perché ci si ritrova insieme, si parla e si discute, si riannoda il filo, da troppo tempo smarrito, di un impegno per la scuola di tutti.

Ogni giorno si fa più chiara la necessità di una scuola in cui i saperi siano il risultato di una ricerca e di una costruzione in cui gli studenti siano attivi, partecipi e protagonisti e non passivi recettori, si fa strada la convinzione che solo la libertà d’insegnamento dei docenti e la libertà d’apprendimento degli studenti possano essere gli strumenti regolatori del fare scuola.

Certo occorrono investimenti, fiducia, nuova consapevolezza del ruolo e della necessità dei saperi per il domani. È un percorso lungo e articolato, non immediato, Gelmini e soci hanno deliberatamente avviato un processo di dismissione della scuola pubblica che ha solo due esiti possibili, la sua vittoria e il regresso civile e sociale del paese, oppure la sua sconfitta e l’apertura di nuovi scenari oggi difficilmente ipotizzabili, ma ragionevolmente volti ad una scuola italiana che torni ad essere capace di futuro.